RECENSIONE DELLA PROF.SSA GENOVEFFA GIURI - NARDO' FOTO ARTE STORIA

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RECENSIONE DELLA PROF.SSA GENOVEFFA GIURI

PUNTO DI INCONTRO-APS
Prof.ssa Genoveffa Giuri


Francesco Danieli, Echi danteschi e onirismo fiammingo in un dipinto di Donato Antonio D’Orlando (1562-1622),
Gli Argonauti - Edizioni universitarie romane, Roma 2022
 
 
     Echi danteschi e onirismo fiammingo in un dipinto di Donato Antonio D’Orlando (1562-1622) accende il desiderio di visitare la Collegiata di Galatone e sostare davanti alla pala dell’Immacolata. Francesco Danieli, infatti, fornisce dell’opera un’analisi appassionata e, al tempo stesso, dettagliata, avvalendosi delle sue competenze di iconologo. Il testo è accompagnato da un ricco corredo di foto che rendono possibile una visita “virtuale” sotto la guida esperta dell’autore.
       Il dipinto, pensato in un’epoca diversa dalla nostra e per altri destinatari, potrà dirci molto del nostro passato ma anche parlare direttamente a noi. Prodotta con scopi coerenti con le esigenze del tempo, si presta nella sua universalità alla nostra fruizione estetica. Forse non svolge più la funzione didascalica che le era stata assegnata, ma con le sue immagini pittoriche ci pone di fronte a temi che non ci lasciano indifferenti: il male a cui vorremmo sfuggire ma che ci avviluppa in modo inestricabile, il bene agognato, la ricerca di una possibile redenzione, gli interrogativi sui destini ultimi di noi umani. Le risposte, nella loro provvisorietà, possono variare in funzione delle diverse concezioni più o meno laiche o più o meno religiose che ognuno di noi oggi è libero di avere.  Fino a che punto siamo veramente liberi e quanto invece la nostra coscienza sia dominata dall’interno da miti che abbiamo interiorizzato e di cui non siamo consapevoli è un problema che dovremmo porci per cercare di capire chi siamo veramente.
      La tela, che risale ai primi anni del Seicento, e la Chiesa cinquecentesca in cui è collocata sono esempi di quel patrimonio artistico e culturale che appartiene al territorio salentino da conoscere, amare e custodire; inoltre è una dimostrazione della grandezza di quella cultura, per nulla marginale o periferica. Questa è la convinzione del nostro autore e al contempo è pure il messaggio principale lanciato al lettore.
     L’opera costituisce, secondo l’interpretazione di Francesco Danieli, una Divina Commedia dipinta e un compendio di teologia. Accostando la Commedia al dipinto, l’autore intende omaggiare Dante, a cui riconosce un ruolo fondamentale nella sua formazione, e contemporaneamente richiamare l’attenzione sul pittore neritino Donato Antonio d’Orlando. Ricordando il recente VII centenario della morte di Dante (2021) e il IV centenario della morte di D’Orlando (2022), Danieli sottolinea come quest’ultima ricorrenza sia passata sotto silenzio, nonostante si tratti di un pittore di straordinara importanza anche al di fuori dei confini della sua terra. La sua stessa arte pittorica evedenzia la sua apertura a influenze europee, in particolare all’arte fiamminga di Hieronymus Bosch (1453-1516).
      Analizzando il dipinto, l’autore sottolinea via via i richiami alla Divina Commedia. Allo stesso modo accosta i particolari della tela all’opera di Bosch. Ma, come si è detto, la tela, in cui compaiono citazioni scritturistiche e patristiche, è anche un compendio di teologia, che non manca certamente nell’opera di Dante. Però la pala dell’Immacolata, che si colloca in un contesto storico diverso da quello dantesco, riassume ulteriori sviluppi del dibattito teologico.
      L’autore ricorda la cultura teologica dei committenti, i nobili D’Alessandro, influenzati dal clero locale secolare e da quegli ordini religiosi che pure non avevano posizioni unanimi rispetto alla natura di Maria. Il dibattito risale ai padri della Chiesa, ma nel clima della Controriforma assume nuovi connotati. Come reazione alla riforma luterana nel Cinquecento prevalgono nella Chiesa cattolica le posizioni intransigenti che mirano al controllo delle coscienze, come ha dimostrato Adriano Prosperi in un’opera   fondamentale nel dibattito storiografico (A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino, 1996).  
       La battaglia interessa la Chiesa al suo interno: spesso ad essere sospettati di eresia dagli inquisitori erano ecclesiastici. Emblematico il caso del cardinale Morone reso noto dagli studi di Massimo Firpo e Germano Maifreda (M. Firpo-G. Maifreda, L’eretico che salvò la Chiesa, Torino, Einaudi, 2019). D’altro canto, a riprova del loro carattere storico, l’unanimità sui dogmi era tutt’altro che scontata, come dimostra lo scontro tra francescani e domenicani sulla natura di Maria. L’Immacolata Concezione non era un dogma ancora riconosciuto (il riconoscimento ufficiale si avrà solo nel 1854) e, anzi, proprio per il suo immacolatismo era stato sospeso a divinis e condannato agli arresti domiciliari Ippolito Marracci, riabilitato poi nel 1671.  I domenicani rifiutano l’immacolatismo e i francescani, invece, lo sostengono e, in questo modo, vanno incontro alla devozione popolare, che, al di là delle disquisizioni teologiche, spontaneamente accoglie l’Immacolata Concezione.     
      La devozione popolare rinvia a un altro aspetto da considerare, e cioè la religiosità dei “semplici” che la Chiesa mira a governare, imponendo la dottrina, ma al tempo stesso venendo a patti con il bisogno popolare di sacro. Si tratta di un equilibrio a volte vacillante, se è vero che quelle che le autorità ecclesiastiche considerano superstizioni o forme di stregoneria permangono nella cultura popolare, come emerge dalla stessa documentazione inquisitoriale. Il tema è intrigante dal punto di vista antropologico e storico ed è stato oggetto di studio nel nostro territorio. Per l’antropologia basterebbe ricordare gli studi di Ernesto De Martino, mentre sul piano storico risultano importanti il libro di David Gentilcore (D.Gentilcore, Il vescovo e la strega, Besa, 1992 ) e il saggio di Maria Rosaria Tamblè (M. Tamblè, Sortilegi e magia tra Galatina e Gallipoli nel  primo Seicento, in Bollettino storico di Terra d’Otranto , 1, 1991). A volte “i semplici” arrivavano a elaborare una loro teologia: un esempio emblematico è costituito da Menocchio, il mugnaio friulano il cui pensiero abbiamo potuto scoprire grazie a Carlo Ginzburg (C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi, Adelphi, Milano, 2019).
      Anche Donato Antonio d’Orlando, nei limiti che gli sono consentiti, esprime nei dettagli la sua libertà espressiva. In un’età in cui, nonostante tutto, avanza il pensiero “libertino”, non si escludono nel pittore posizioni vicine all’eresia (l’autore accenna alla vicinanza dell’artista all’esoterismo).
     Come non ricordare che siamo temporalmente vicini al rogo di Giordano Bruno (17 febbraio 1600) e di Giulio Cesare Vanini, nostro conterraneo, morto il 9 febbraio 1619?
 
Genoveffa Giuri
 

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