TERESA POLO - Nardo' e i suoi 'Ulivi'

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TERESA POLO - Nardo' e i suoi 'Ulivi'

NARDO' FOTO ARTE STORIA
Nardo' e i suoi ulivi
 
 
Nardo' ha origini antichissime, tra leggende e realta'. La sua fondazione, piu' diffusa, tramite la leggenda, e' riassunta con il mito della fontana, addossata alla facciata laterale della Chiesa di S. Domenico, in piazza Salandra, dove un portentoso e altero toro , nel VII sec. a. C., proprio in questo territorio, comincio' a raspare la terra, in un punto da cui scaturi' una polla d'acqua. Le genti che viaggiavano, e testimoni del segno di buon auspicio, decisero di fermarsi  in quel luogo. La nascita di Nardò, come centro abitato, risale al VII secolo a. C.,  insieme al suo porto di  “Emporium Nauna” ( l'attuale S. Maria al Bagno), fu conquistata dai Romani nel 269 a.c. e divenne municipium ( Neritum o Neretum). Alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, ( 476) ed in seguito alle battaglie tra Bizantini e Goti  ( 544), fu assorbita dall'Impero Bizantino (552-554) e per un breve periodo ( 662-690), fu annessa al Regno Longobardo; tra il 901 e il 904 Nardo' fu attaccata e saccheggiata dai Saraceni, provenienti dalla Sicilia. Nel 1055 i Normanni conquistarono la citta' e nella seconda meta' del XIII secolo segui' la dominazione angioina che determino' la nascita e la diffusione del feudalesimo.
Nardo' è un luogo unico, ricco di storia e monumenti di grande interesse: un bellissimo castello, un centro storico totalmente ed esclusivamente pedonabile, numerose chiese, architetture barocche di unico pregio.
Oltre alla bellezza dei luoghi, Nardo' gode, insieme al Salento, di una antichissima e radicata coltivazione dell'olio, anche se le specie storicamente coltivate non sono molto numerose. Questo, forse, perchè, essendo una coltura improntata alla produzione di olio, la ricerca di cultivar di qualita', con caratteristiche ben definite, ha portato ad una forte specializzazione.
Sembra che la coltivazione dell'olio, in Salento, risalga al VII sec. a. C.  Nel 336 a. C. l'olio salentino veniva gia' esportato in Oriente e a Cartagine, pare, quindi, che il Salento fosse primo territorio per estensione di oliveti. La sua espansione si arrestò solo con le invasioni barbariche e la crisi dell'Impero Romano, riaffermandosi, poi con  i Saraceni, tra il IX ed il XVIII sec. d. C.. Furono loro a diffondere la Cellina di Nardo', conosciuta infatti anche come “ Saracena “. E' di forma ovoidale, asimmetrica , da verde a nera. Un'oliva unica nel suo genere, tanto da attrarre gli antichi per il suo intenso colore nero.  
 
La produzione di olio in Salento è principalmente improntata su due varieta': la Cellina di Nardò e l'Ogliarola Leccese. L'Ogliarola è la varieta' più anticamente conosciuta. Viene identificata con la Salentina di cui parlano i poeti  Catone e Marrone, nelle loro opere.. Ha un'elevata produttivita' e grande resa, ma la sua coltivazione ha subito una forte frenata all'inizio del XX sec. A causa della diffusione della “brusca parassitaria”, una malattia che ha indotto a sostituire  questa cultivar con la più resistente varietà Cellina. La Cellina ha una resa più bassrande rusticità ed adattabilità. Le olive sono di colore nero-blù e le foglie più ovali e piccole di quelle de'Ogliarola. E' la varietà più largamente diffusa e coltivata.
 
L'olivo è stato per secoli fonte di cibo, di cura e di riscaldamento, di materiale da costruzione, di illuminazione, di riparo e anche di ispirazione. L'olio, prezioso,  prodotto di questi alberi, è ricchissimo di qualità alimentari e cosmetiche.  Negli ultimi anni, incredibile a dirsi, ce stata una certa tendenza a svendere oliveti e olio. Forse si è sentita cosi  spesso la storia della scarsa quantità e resa economica dell'olio salentino, che si è finito col crederci e con l'essere complici . Speriamo che l'olivicoltura salentina possa trovare nuova forza partendo dalle sue radici e dal rispetto del territorio e della natura.
L'olivo è la pianta sacra per eccellenza nel mondo mediterraneo ed è storicamente simbolo di prosperità e benessere sin dall'antica Grecia , dove le coltivazioni di ulivi rappresentavano una parte  fondamentale dell' identità culturale del paesaggio e degli abitanti di quelle zone. Nel SALENTO , la popolazione ha sviluppato un legame profondo con la coltura e la cultura degli ulivi, iniziato circa quattrocento anni fa, quando furono abbattute antichissime foreste di querce e lecci per coltivare questi alberi che sarebbero diventati il fulcro della produzione agroalimentare pugliese.
 
La diffusione dell'ulivo , nella Grecia antica, coincise con la massima espansione della civilta'. Quanto sta accadendo nel Sud della Puglia, è forse la metafora del decadimento della nostra modernità? Ora, si cerca di inquadrare il fenomeno sociale dell'epidemia da Xylella , una catastrofe che ha coinvolto le abitudini, le menti e le coscienze della popolazione.
A memoria d'uomo, l'ulivo non ha mai subito un attacco simile a quello a cui è esposto ai nostri giorni. Oltre alle cause e i processi che hanno causato l'emergenza Xylella, è nata, anche, nelle persone, una sorta di svuotamento delle stesse, ed alcune di loro sembrano spezzate proprio come i tronchi degli ulivi millenari sconfitti dalla fitopatologia.
In questo senso si concentra un'analisi di due strette relazioni entrate in crisi, quella tra individui e patrimonio naturale e quella tra cittadini e scienza. Oggi non rimane che una carcassa  vuota, secca e grigia, accampagnata dal grande lutto degli  olivicoltori e il legame che è molto più profondo del semplice rapporto tra un agricoltore e le sue piante.
Quest'albero ha accompagnato intere generazioni della stessa famiglia. Alcuni olivicoltori si rifiutano di abbattere i loro alberi per piantare diverse varieta' di ulivi, come la Favolosa ed il Leccino , che sembrano essere molto piu' resistenti al batterio. Non vogliono rinunciare all'unicita' e all'identita' del loro prodotto per fabbricare un olio “INDIFFERENZIATO” senza anima. Altri, invece, hanno iniziato a coltivare queste diverse varieta',  pur di far sopravvivere e in altre parole, a continuare e mantenere le loro famiglie.
Infine, sembra che, questi alberi, non hanno ricevuto le cure e le attenzioni che meritavano e sono stati abbandonati a loro stessi.

Teresa Polo


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