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Pietro De Florio

PITTURE DEL '700 > Il Cenotafio degli Acquaviva a Nardò
PIETRO DE FLORIO
Nota dell'autore: "Il lavoro che nel seguente saggio rappresentiamo prende spunto, come dalle note riportate, dalla ricerca e dagli studi pubblicati da Paolo Marzano".



Alle origini del Barocco leccese. Il Cenotafio degli Acquaviva a Nardò                   

LA COLONNA INGLOBATA
Nel monumento i rigonfiamenti avvolgenti dei panneggi, soprattutto sulle gambe delle virtù, farebbero pensare,
secondo il Marzano, alla colonna inglobata (concetto già spiegato da Mario Manieri Elia), una sorta di regolarizzazione o cristallizzazione stilistica, originata dal drappeggio o “parte anatomica ricoperta da un sofisticato quanto ‘ermetico’ panneggio (19) (Figg. 22, 23), già visto nelle opere rinascimentali (Figg. 12, 13).
 
In sostanza come direbbe Deleuze la materia vestita assume la forma tessile, cioè il vestito si libera dalla subordinazione del corpo. “Un costume tipicamente barocco sarà largo, sciolto nello sbuffo, ricco di balze, e attornierà il corpo con le sue pieghe autonomamente, sempre moltiplicabili, invece di far trasparire le pieghe del corpo(20) (Fig. 24).Pieghe che acquisiscono autonomia e ampiezza e non si tratta di un capriccio compositivo, ma è forza dello spirito sul corpo, per elevarlo, espanderlo, modellarlo dall’interno. Estensione, espansione, elevazione, questa fluidità di pieghe (21) spiritualizzerà la materia nel futuro sviluppo barocco. Quando il chiaro esce dallo scuro e dall’ombra è come una monade che passa, dal proprio fondo tenebroso e inconscio, alle piccole percezioni, fino alla percezione chiara e consapevole della monade razionale (22). In definitiva dal panneggio delle virtù e, dalle astrazioni stilizzate dei drappeggi e pieghe Quattro – cinquecentesche sopra descritte si potrebbe intuire la possibile e posteriore estetica barocca, nel passaggio stilistico della colonna inglobata.Osservando l’originalissima colonna ingabbiata in un pilastro sul risvolto destro della facciata di Santa Croce a Lecce (Fig. 15), il Manieri Elia dà la seguente interpretazione: “La colonna come segno del paganesimo (elemento fondamentale del tempio classico) viene rinserrata e imprigionata nel pilastro, probabile simbolo della virtù cristiana della fortezza” (23), vale a dire è il cristianesimo che in epoca controriformistica riscatta e ingloba o sostituisce il paganesimo primitivo o le correnti ereticali protestanti. Nel senso più ampio la decorazione è verità luminosa, come in Santa Croce a Lecce o in San Domenico a Nardò, particolarmente evidente e invadente al piano alto delle facciate che sublima e purifica l’elemento, sia esso simbolico o geometrico o pagano, che si trova al piano sottostante. In questo caso il concetto di colonna inglobata estende il proprio significato a tutta la struttura architettonica della facciata: in alto la rivelazione nel tripudio della salvezza (pilastro), in basso il mondo pagano che aspira alla luce cristiana (colonna) (24).
 
 
LE INFLUENZE STILISTICHE
Tornando al monumento funerario, da una citazione dal trattato di Cesare Cesariano (teorico dell’architettura rinascimentale, nel Portico dei Persiani del 1521), sono i due soldati (potrebbero essere gli stessi duchi) a reggere il sarcofago di Bellisario sulle spalle (Figg. 17,18,19). Tema poi ripreso in Santa Croce a Lecce dove i telamoni sorreggono la balconata, evidentemente i trattati ufficiali e le aggiornate fonti letterarie arrivano in Puglia arricchendo la tradizione locale. L’aggiornamento stilistico si avverte anche  nella semplificata regolarità delle forme: i volti dei militi snelli e regolari, le teste rotonde e braccia quasi cilindriche, una sensazione, si potrebbe dire “tardo ellenica” come annota l’Arnoldi (25) (Figg. 22, 23, 24). Le due figure appaiono abbastanza proporzionate, con una particolare attenzione per dettagli: capelli, barba, occhi, zigomi e in generale alle fattezze fisionomiche che nel complesso offrono un senso luministico e pittorico dell’incarnato e non è da escludere una certa influenza fiamminga nell’impianto compositivo (26) (Fig. 17), inoltre la particolare luce d’interno e lo sfondo alle spalle dei duchi ricordano i  motivi ornamentali, floreali e pittorici delle Fiandre (27) (Fig.18).
Interessanti sono gli spallacci leonini delle armature dei duchi le cui frange imitano denti felini e rimandano ad un’iconografia guerresca e mitologica congeniale per i duchi, anche in questo caso non manca un rimando alla trattatistica, cioè alle Immagini de gl’Antichi di Vincenzo Cartari del 1556 (28) (Figg. 21,22). Ancora di provenienza ferrarese, come asserisce il Marzano sono, sia la fascia decorativa verticale sinuosa che incornicia i duchi (Fig. 6, si intravede tra la virtù della giustizia e il milite), simile a quella dell’Annunciazione del Cossa del 1470 nella Galleria di Dresda, sia i grifi posti ai piedi dei duchi (Fig. 25), sono simili alla coppia di quelli del Salone dei Mesi (agosto) del Palazzo Schifanoia a Ferrara dove entrambi tirano il carro di Cerere / Demetra la dea delle messi e dell’abbondanza (29).
 
Su questo monumento c’è un po’ di tutto: putti, medaglioni, modanature, armature, tralci vite, girali, motivi vegetali stilizzati, frutta, nastri e sul sarcofago di Bellisario, probabilmente le moire lachesi e atropo (Fig. 36). Finemente decorata è l’arca dedicata a Bellisario, valorizzata da un gran tralcio di vite in rilievo e da un pittorico impatto chiaroscurale, in assonanza con la cultura artistica fiamminga di un Van Eyck e Van Der Weiden (30) (Figg. 17,19, 36)
Per quanto riguarda i nastri visibili intorno alle colonne sono un richiamo esplicito alla imperialità coloniale ispano – asburgica, iconografia già presente sull’arco di Porta Napoli a Lecce (31).





LA COMPONENTE ANTICA   
Oltre al richiamo della tradizione italiana e fiamminga si potrebbe pensare, seguendo il criterio filologico di Riegl, anche a una matrice ellenistico – romana, basti osservare i dettagli delle decorazioni, il realismo dei volti, degli occhi, dei capelli a riccioli o raccolti nella retina, ai tralci, alle incisioni, agli elementi fogliati ecc. un tutto chiaramente visibile e distinguibile nella visione ravvicinata (33) di superficie (Fig.23). Ma le corpose statue dei soldati e delle virtù creano uno stacco rispetto ai rilievi (Figg. 4,8), sembrano quasi venire avanti, dando la sensazione di una messa a fuoco o regolazione tra l’aspetto tattile dei particolari e la struttura ottico – plastica delle figure a tutto tondo, facendo assumere una tettonica dinamicità al cenotafio      
 
Nel basamento, da sinistra si notano due figure a mezzobusto (un uomo e una donna), pare che vengano fuori da un nucleo plastico fogliato terminante simile a una coda (Fig. 31).
L’intreccio bicaudato fitomorfo delle figure sostiene un piatto ricolmo di foglie e frutti. Lo svelamento allegorico potrebbe significare la natura che genera o rigenera l’uomo (nasce dalla foglia), le code intrecciate alluderebbero equilibrio o senso morale della direzione, alla fine tutto rinasce nell’auspicio propiziatorio dell’abbondanza. Proseguendo si vede una maschera (Fig. 32), anzi un guardiano della tomba o la personificazione dell’ignoto oltre la vita, vigila sulla pace delle anime e che la tomba non venga violata (34), in sostanza è il corrispettivo notturno del guardiano della soglia nella vita diurna. Ai lati del volto barbuto si notano due simmetriche cornucopie, anche queste simbolo di fecondità, glorificazione dell’abbondanza e fertilità spirituale che rafforzano il  valore apotropaico della maschera.
 
Nell’ultimo riquadro del basamento di sinistra (Fig. 31) si vede un vaso (in quanto privo di anse) panciuto a collo stretto e in basso di profilo due genietti o puttini seduti. In una possibile lettura il vaso rimanda al concetto di nemesi o al tirare le somme a vita conclusa, perché in questo repiciente sarebbero contenute ricchezze ed onori per i giusti (evidentemente per gli Acquaviva), oppure castighi per superbi e malvagi. L’eventuale giglio stilizzato alato posto sull’orlo del vaso, si potrebbe associare al concetto dell’Annunciazione (o annuncio della vita eterna), non senza aver fatto proprio l’imperativo dell’amore, probabilmente espresso dai due puttini o genietti in basso, quasi a completamento simmetrico iconografico delle figure a mezzobusto fogliate nel primo pannello a sinistra. Tutte le figure umane reggono una specie asta fogliata e decorata, ossia un possibile simbolo di resurrezione (35).
 
Proseguendo con lo sguardo verso destra, dopo il sarcofago di Giovan Bernardino nel pannello centrale (Fig. 33) del basamento  sono raffigurati due identici animali fantastici, l’uno davanti all’altro, nell’intento di cibarsi dell’uva posta sopra una specie di servomuto finemente decorato. È un drago (36) o serpente alato fatto di materia e spirito, rappresenta satana e il potere del male, infatti ha gli zoccoli caprini simboli di dannazione (Fig. 34).
Tuttavia nulla è perduto per chi si ciba del sangue eucaristico dell’uva, perché può elevare il proprio spirito (parte alata del drago) verso l’immortalità. Nel pannello vicino, di esecuzione alquanto approssimativa, si vedono due puttini che suonano la tromba, pur non essendo veri e propri angeli, forse annunciano il giudizio universale? In alto tra fogliame e una garnera fitomorfa  stilizzata due profili di teste umane, come inserite in un baccello, guardano in direzioni opposte, forse sottintendono la prudenza, quale pungolo per la saggezza in vita, se si vuol essere giudicati e annoverati tra i salvi (Fig. 35).
 
Da questa breve rassegna iconografica, già potenzialmente sono espressi i motivi figurativi che saranno propri del barocco leccese, cioè le maschere fogliate (blattmaske in San Domenico, nel Carmine dietro le colonne del portale e in altri siti), la cornucopia, i frutti, le ceste ricolme di ogni bontà della terra, uva, auspici di resurrezione e abbondanza, in sostanza un repertorio, per così dire, dionisiaco, in grado di coniugarsi stilisticamente al motivo apollineo di fattura ellenistica dei ludici puttini o genietti del cenotafio.
 
Stilisticamente i rilievi del basamento non sono una semplice disposizione plastico – ornamentale, come per esempio nella maschera – guardiano, oltre al volto realistico, quasi intimidatorio, interessante è il motivo della trasformazione della barba in tralci d’acanto, dalle foglie rigogliose e tondeggianti (secondo la modalità occidentale) che coprono interamente il ramo (come nell’arte romana del II sec.), imprevedibilmente dagli arbusti fogliati nascono i due corni plastici delle cornucopie, come all'incirca nella decorazione romana del IV secolo in cui da un movimento ondulato dei tralci, dalla corolla nasceva un altro tralcio con analogo sviluppo ondulato e così via (37). Altri motivi decorativi ad intreccio completano l’opera, liberandosi però dall’aspetto vegetale, per una propria autonoma grafica decorativa. Nel seguente pannello a destra lo stesso motivo si semplifica: dalle due aste beneauguranti sostenute dai genietti si sviluppano delle girali floreali i cui sarmenti a tratti sono ricoperti di foglie, mentre nel movimento a spirale la disposizione delle foglioline assume un andamento regolare, motivo anch’esso assimilabile alla provenienza ellenistico – romana (38) .
 
Nel complesso questo tipo di decorazione mantiene una certa ariosità, con fluidi motivi floreali e vegetali, ancora non si avverte l’horror vacui barocco, tutto pare che abbia un certo ponderato respiro evocante il movimento decorativo romano a grottesche.
 
 
PIETRO DE FLORIO
       24 Febbraio 2022
 
 Note                
19 Ivi (Parte prima)
20 Gilles Deleuze, La Piega. Leibniz e il Barocco, a cura di Davide Tarizzo, Einaudi, Torino, 2004, p. 228
21 Ivi, pp. 201 – 202
22 Ivi, pp. 144 - 146
23 Maurizio Calvesi, Mario Manieri Elia Architettura barocca a Lecce e in Terra di Puglia, Bestetti, Roma, 1971, p. 17
24 Altre colonne inglobate esplicite si possono osservare nel Sedile di Lecce (angoli), sulla facciata della cattedrale di Squinzano e in una cornice d’altare nella chiesa Dell’Incoronata a Nardò (Fig. 16).
25 Francesco Negri Arnoldi, Alle Radici della Scultura Rinascimentale Pugliese, in Scultura del Rinascimento in Puglia, a cura di Clara Gelao, Edipuglia, 2004, in P. Marzano, op. cit. (Parte seconda)
26  P. Marzano, cit. (Parte seconda)
27 Ivi (parte seconda). L’autore riporta le seguenti fonti iconografiche: Hans Memling, Madonna con Bambino e due angeli, 1480 Uffizi, Firenze; Michel Pacher, Pala dei padri della chiesa, 1480, Pinacoteca di Monaco; Albrecht Dürer, Ritratto di Elsfeth Tucher, 1499, Staatliche Kunstsammulungen di Kassel; Hans Memling, Trittico di donne 1470, National Gallery Londra; Jean Van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin, 1435, Louvre, Parigi; Albrecht Dürer, Adorazione della santissima Trinità, 1511, Kun sthistoriches Museum Vienna.       
28 Ivi (Parte seconda)
29 Ivi, (Parte seconda)
30 Ivi, (Parte seconda)
31 P. Marzano, cit. (Parte terza).
33 Alois Riegl, Grammatica storica delle arti figurative (1897 – 98), traduz. Carmela Armentano, a cura di Pietro Conte, Quodlibet, Macerata, 2020, p. 159,
34 Marosa Marcucci, Civiltà della Pietra Leccese, Congedo, Galatina, 2009, p. 116
35 Ivi, Marcucci, pp. 89 - 96
36 Hans Weigert, Demoniche figurazioni, Medioevo cristiano, EUA, vol. IV, Venezia – Roma, 1958 – 1986, pp. 278 – 280
37 Alois Riegl, Problemi di stile (1893), traduz. di Marco Pacor, Feltrinelli, Milano, 1963, pp. 247 – 248
38 Ibidem, cfr. Eugenio Battisti, Ornato, in EUA, vol. X, Venezia – Roma, 1958 – 1986, p. 268, fig. 23
 
 
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